
Se tra Iran ed Arabia fosse un bluff?
L’Arabia Saudita e l’Iran hanno iniziato ad essere ufficialmente “rivali” nella regione già all’indomani della rivoluzione del 1979. All’epoca, l’Ayatollah Ruhollah Khomeini cercò di esportare i germi della rivoluzione anche in direzione di Riyadh, facendo venire i brividi alla famiglia reale saudita.
Da allora, una serie di scontri diretti e indiretti tra Teheran e Riyadh hanno modellato il panorama geopolitico del Medio Oriente, e del Golfo in particolare. Ogni potere ha oggi numerosi delegati che formano sfere di influenza regionali. La maggior parte (ma non tutti) i gruppi affiliati all’Iran sono sciiti, mentre i gruppi collegati ai sauditi sono sunniti, così, la rivalità saudita-iraniana ha forgiato gran parte della recente storia mediorientale.
Riyadh ha sostenuto l’ex leader iracheno Saddam Hussein nella sua guerra di otto anni con l’Iran negli anni ’80 mentre, nel 1982, Teheran ha contribuito a fondare, finanziare e addestrare la nuova milizia di Hezbollah, che da allora ha esercitato un controllo crescente sulla politica libanese.
L’invasione americana dell’Iraq nel 2003 e la caduta di Hussein hanno visto l’Iran cercare di esercitare un’influenza sciita sul paese in una lotta che per molti versi è durata fino ad oggi . La situazione di stallo saudita-iraniana ha anche definito i conflitti post-primavera araba in Siria e Yemen. Il sostegno dell’Iran al Presidente siriano Bashar al-Assad e agli Houthi dello Yemen è oggi la pietra angolare della rivalità Teheran-Riyadh.
Sebbene i due stati abbiano vissuto episodi di distensione e riavvicinamento negli anni ’90, la presidenza iraniana 2005-2013 dell’iraniano Mahmoud Ahmadinejad e l’ascesa del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman e l’elezione nel 2021 del presidente iraniano ultraconservatore Ebrahim Raisi hanno cancellato qualsiasi progresso sul fronte della distensione.
L’esecuzione saudita del 2016 del religioso sciita Nimr al-Nimr ha portato i manifestanti iraniani a prendere d’assalto l’ambasciata saudita a Teheran ed è stato un punto più basso nella storia diplomatica dei due stati.
Sebbene l’Iran e l’Arabia Saudita abbiano tenuto colloqui dal 2021 in Iraq, le loro relazioni diplomatiche rimangono ostili. Nel 2017, Mohammed bin Salman minacciò esplicitamente di affrontare l’Iran portando la guerra a Teheran: “Non aspetteremo che la battaglia sia in Arabia Saudita. Lavoreremo invece affinché la battaglia sia per loro in Iran”. Due anni dopo, nel 2019, gli Houthi allineati con l’Iran nello Yemen hanno rivendicato la responsabilità di aver colpito le installazioni petrolifere Saudi Aramco nel territorio saudita; di contro il re saudita Abdullah, prima della sua morte avrebbe chiesto agli Stati Uniti di ” tagliare la testa del serpente “, riferendosi al programma nucleare iraniano
Ma nonostante l’aperta rivalità che ha segnato da sempre i rapporti tra le due capitali, l’Iran deve rimanere stabile per i Sauditi. Analizziamo le motivazioni.
Ci sono due motivi per cui un collasso su vasta scala del regime iraniano non è nell’interesse di Riyadh. Il primo riguarda l’identità saudita. Il potere saudita probabilmente esiste – ed è stato tutelato dagli USA – solo grazie alla presenza di un potere avverso e contrapposto nella regione, come quello iraniano. Proprio come Teheran rappresenta per molti la leadership globale sciita, Riyadh si pone come emblema della leadership sunnita. Senza l’Iran al timone dello sciismo, la presunta identità dell’Arabia Saudita come protettore sunnita del mondo cesserebbe di esistere.
Poi c’è il pericolo di un effetto domino. Se le proteste iraniane avranno successo e porteranno alla fine della Repubblica islamica, chi garantisce ai sauditi che non ci saranno ripercussioni regionali simili? Così come la primavera araba si è espanda a macchia d’occhio, l’eventuale successo della protesta iraniana potrebbe costituire un precedente pericoloso.
Sebbene improbabile, vale la pena considerare cosa potrebbe significare la caduta della teocrazia per il futuro del governo in Iran. Se i leader clericali venissero estromessi, il paese sarebbe probabilmente governato dalla leadership militare dell’IRGC o diventerebbe uno stato frammentato come la Siria o la Libia.
Questa divisione potrebbe assumere diverse forme, creando governi rivali (come nel caso di Tripoli e Bengasi in Libia) o divisioni territoriali lungo linee etniche. Il primo potrebbe assistere a uno scontro di legittimità tra i gruppi che preferiscono un Iran repubblicano e quelli che chiedono il ritorno della monarchia estromessa nel 1979. Il secondo potrebbe includere stati territoriali etnici governati da governi curdi, arabi, azeri e beluci.
Entrambi i casi avrebbero gravi implicazioni per la sicurezza di Riyadh e della più ampia regione del Golfo. Un Iran a guida militare potrebbe essere estremamente conflittuale nei confronti di Riyadh. Pochi giorni dopo che l’IRGC ha minacciato l’Arabia Saudita nell’ottobre del 2022, Riyadh ha informato Washington di aver ricevuto informazioni secondo cui l’Iran si stava preparando a colpire il regno.
La primavera araba ha frammentato i principali stati mediorientali come la Siria e la Libia e ha contribuito alla nascita di gruppi terroristici, come lo Stato Islamico, che hanno destabilizzato la regione. Ad oggi quindi i risultati delle proteste arabe di inizio millennio per la regione MENA sono stati più negativi che positivi. Cosa comporterebbe la frammentazione dello stato iraniano e una conseguente destabilizzazione? Per tutti quei Paesi del Golfo che stanno sviluppando progetti per diversificare le loro economie lontano dai combustibili fossili nel tentativo di attrarre investimenti diretti esteri, l’instabilità derivata da un possibile Iran al collasso non gioverebbe a nessuno.
Piuttosto che provocarne quindi il collasso, l’Arabia Saudita preferirebbe invece depotenziare lentamente l’Iran senza mai impegnarsi in uno scontro militare diretto. Mentre Teheran affronta il respingimento globale per la sua risposta al movimento di protesta in corso, le accuse di collaborazione con la Russia in Ucraina e l’accordo nucleare irrisolto, l’approccio di Riyadh sembra funzionare. Mohammad bin Salman vuole che l’Iran sia abbastanza debole da essere costretto a fare concessioni sul suo programma nucleare e sulla sua influenza regionale, ma che al contempo sia abbastanza forte da non cadere sotto i colpi di una qualsiasi protesta interna