
L’ISIS come l’Idra
Lo scorso febbraio 2023 il leader dello Stato islamico Abu Ibrahim al-Hashimi al-Qurayshi, a Idlib, in Siria, è stato ucciso. La morte di Qurayshi però non ha minimamente destabilizzato l’organizzazione terroristica.
Da un lato, la morte di Qurayshi ha rappresentato una grave battuta d’arresto per lo Stato islamico dato che la sfida che il gruppo ha affrontato è stata quella di trovare un sostituto per Qurayshi che manterrà la continuità con i fondatori del movimento, tra cui Abu Musab al-Zarqawi, che ha fondato al Qaeda in Iraq, il precursore dello Stato islamico, nel 2004, e Abu Bakr al-Baghdadi.
Dato che la maggior parte dei membri della “prima generazione” fondatrice dell’ISIS sono stati uccisi, si sollevano seri problemi sulla futura leadership e direzione del movimento.
La morte di Qurayshi non di fatto non ha fatto deragliare radicalmente le operazioni che il gruppo ha attive in molti teatri del mondo; anzi, la morte di un leader che sia il fulcro dell’attività terroristica, la perdita di roccaforti e l’essere stati quasi totalmente spazzati via dai territori dell’Iraq e della Siria, ha fatto mutato la natura dello Stato Islamico da califfato centralizzato con una struttura piramidale verso un’insurrezione decentralizzata, in gran parte rurale, ma comunque resiliente.
È improbabile che la morte di un altro leader di alto livello faccia un’enorme differenza in questa insurrezione diffusa e letale in Siria, Iraq, Afghanistan e oltre.
Dopo la sconfitta territoriale dello Stato islamico nel 2019 e la morte del suo leader carismatico al-Baghdadi, per mezzo di un raid statunitense, l’allora presidente Donald Trump ha dichiarato prematuramente che l’ISIS era stato sconfitto.
Il trionfalismo di Trump ha ricordato quello dell’ex Presidente George W. Bush, nel famigerato discorso “Mission Accomplished” tenuto subito dopo l’invasione e l’occupazione dell’Iraq del 2003. Eppure, proprio come il proclama rosato di Bush si è rivelato imbarazzantemente miope, così ha fatto quello di Trump. Né in Iraq né in Siria la missione è compiuta, e lo Stato islamico non è ancora stato sconfitto in modo permanente.
Molto prima della perdita del suo califfato fisico in Iraq e Siria nel 2017 e nel 2019, lo Stato islamico si stava già preparando per “il giorno dopo”. Inviando combattenti e luogotenenti di medio livello nelle montagne e nei deserti e in altre aree protette in Iraq e Siria, il gruppo è stato in grado di sopravvivere senza avere una base fisica. Inoltre, i membri dello Stato islamico sono stati inviati anche in Afghanistan, Libia e altre parti dell’Africa per fare proselitismo e stabilire così nuove basi per espandere le proprie operazioni.
Con circa 10.000 combattenti attivi e radicalizzati negli ultimi tre anni, lo Stato islamico ha effettuato migliaia di attacchi mortali in Iraq, Siria e altrove, uccidendo centinaia di forze di sicurezza, figure tribali, leader locali e notabili, imponendo così la propria autorità.