
Ieri come oggi il problema del Sudan è fuori confine
Quando i manifestanti antigovernativi hanno inondato le strade del Sudan alla fine del 2018 e all’inizio del 2019, hanno contribuito inconsapevolmente a raggiungere un obiettivo di lunga data statunitense che però è sempre stato sfuggente per Washington: la caduta del presidente autoritario Omar al-Bashir.
Dopo tre decenni di governo repressivo e guerra civile quasi costante, Bashir è stato estromesso con un colpo di stato militare che portava la promessa di un Sudan riformato e più democratico.
Dopo il colpo di stato i cittadini sudanesi hanno formato un governo di transizione composto da leader civili e militari che avrebbe dovuto governare il paese per tre anni, dopo di che, sarebbero state indette delle elezioni politiche che avrebbero dovuto determinare il futuro democratico del paese.
Ma la transizione politica del Sudan non è andata come prevista. Per due anni i leader militari e civili del paese hanno lottato per conciliare le loro priorità all’interno del governo di transizione, poi, nell’ottobre 2021, i militari hanno preso il pieno controllo con un secondo colpo di stato; qualcuno, sostiene che questo sia avvenuto sotto consiglio e controllo della Wagner, consigliere di Mosca dell’elitè militare sudanese. Questa però è un’altra storia, adesso ci interessa trattare la scoraggiante reazione USA alle vicende sudanese degli ultimi tre anni.
Cosa è successo?
Invece di abbracciare e rafforzare le forze pro-democrazia che hanno raggiunto lo scopo che Washington ha inseguito per anni ma mai perseguito, gli Stati Uniti hanno ignorato volontariamente il pericolo che sarebbe potuto derivare da un’eccessiva libertà concessa ai leader militari, intenti, quest’ultimi, a preservare quelle strutture che hanno consentito garantito il potere autoritario del passato sudanese.
Ma perché Bashir era un problema per Washington?
Lo stesso Bashir è salito al potere con un colpo di stato militare e per i successivi 30 anni, i politici statunitensi di entrambe le parti, Democratici e Repubblicani, lo hanno sempre considerato una minaccia per gli interessi geostrategici degli Stati Uniti nella regione.
Il Sudan di Bashir non era solo una dittatura militare iniziata nel 1989 che aveva una portata limitatamente nazionale ma era una dittatura che destabilizzava un’area d’interesse extranazionale; Bashir ha sostenuto l’invasione irachena del Kuwait nel 1990, ha ospitato importanti terroristi internazionali (tra cui Osama bin Laden) negli anni ’90 e mantenne stretti legami con l’Iran fino al 2015. Le sue forze per procura hanno schiavizzato e affamato il popolo sudanese e perseguitato le minoranze religiose.
Quando gli insorti si sono ribellati contro il governo, prima nel Sudan meridionale e poi nella regione occidentale del Darfur, Bashir ha risposto con campagne che i funzionari statunitensi consideravano genocidi. Le politiche estere e interne di Bashir sono cambiate e in alcuni casi si sono moderate nel tempo, ma mentre era al potere, il Sudan è stato giustamente visto come un attore indipendente ed ostile agli USA.
Gli Stati Uniti hanno cercato duramente di isolare il governo sudanese e di fare pressione su di esso per riformarsi. Washington ha fermato tutti gli aiuti non umanitari subito dopo che Bashir ha preso il potere e nel 1993 ha catalogato il Sudan come sponsor del terrorismo, interrompendo l’accesso di Khartoum agli aiuti da parte delle istituzioni finanziarie internazionali. Nel 1997, il presidente Bill Clinton ha imposto ampie sanzioni commerciali e finanziarie al Sudan su sollecitazione dei rappresentanti democratici e repubblicani al Congresso. Un decennio dopo, il presidente George W. Bush ha imposto ulteriori sanzioni mirate ai funzionari sudanesi e alle imprese controllate dal governo coinvolte nel conflitto del Darfur.
Queste misure unilaterali sono state abbinate a sforzi congiunti per isolare il Sudan a livello internazionale, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite prima e nel 2009 poi, li la Corte Penale Internazionale ha emesso un mandato di arresto per Bashir e per i suoi presunti crimini in Darfur.
La rivolta iniziata nel 2018 sembrava fornire il cambiamento che Washington aveva a lungo cercato, tutto sembrava favorevole ad un cambio di rotta per il Sudan: Bashir destituito l’anno successivo alle proteste, nel 2019, preso in custodia con un governo di transizione che aveva approvato una legge che scioglieva il PCN e di conseguenza che scioglieva anche il servizio di intelligence collegato all’establishment di potere.
Va specificato che sono stati i militari – non l’ampia coalizione di manifestanti pro-democrazia che hanno alimentato la rivoluzione contro Bashir – ad esercitare la maggiore influenza sulla transizione politica del Sudan. Il governo di transizione si basava su una difficile partnership tra civili interessati a una vera riforma e membri delle forze armate che avevano beneficiato dell’impunità per i crimini commessi negli precedenti solo per essersi schierati ultimamente contro Bashir; questo giustifica il perché sono stati compiuti pochi progressi verso la trasformazione dello stato sudanese in una “proto-democrazia” o il miglioramento della qualità della vita del suo popolo, attirando l’ira dei manifestanti che periodicamente tornavano in strada per ribadire i loro appelli alla riforma democratica.
Il generale Abdel Fattah al-Burhan, il capo delle forze armate sudanesi, si è dimostrato fin da subito dopo la destituzione di Bashir non essere affatto disposto a condividere il potere, divenendo così un perfetto erede del dittatore, tanto che nell’ottobre 2021, ha deposto il primo ministro civile, Abdalla Hamdok, arrestando lui e gli altri membri non militari del governo, sciogliendo così il governo di transizione e nominandone unilateralmente uno nuovo.
La tiepida risposta degli Stati Uniti nell’avvicendarsi delle questioni sudanese ha frustrato molti attivisti pro-democrazia del Paese africano. L’amministrazione Biden si è astenuto dall’usare la parola “colpo di stato” nelle sue dichiarazioni che condannavano la presa del potere da parte dei militari e ha rifiutato di sanzionare Burhan e gli altri leader militari.
Invece, ha spinto per il rilascio di Hamdok dagli arresti domiciliari e la reintegrazione come primo ministro e ha sostenuto un ritorno all’accordo disfunzionale di condivisione del potere, misure che le fazioni pro-democrazia del Sudan hanno considerato inadeguate.
Per settimane i responsabili della politica estera USA per quanto concerne il quadrante Sudan hanno riposto le loro speranze della democratizzazione del Paese solo nella reintegrazione di Hamdok, come se la sua presenza nel governo potesse soddisfare i requisiti democratici di Washington per il Sudan nonostante quest’ultimo apparisse già abbastanza screditato e impotente agli occhi di riformatori e democratici.
Hamdok ha raggiunto un accordo con Burhan per riprendere il suo incarico a novembre 2021, ma era chiaro che non avrebbe mai potuto essere un efficace contrappeso civile nei confronti dei militari. Quando si è dimesso all’inizio di gennaio 2022, nessuno è rimasto sorpreso. Era dolorosamente ovvio che la sua libertà era una concessione dei generali, che hanno continuato a uccidere i manifestanti mentre resuscitavano elementi del vecchio regime.
Anche prima dell’ultimo colpo di stato, la politica di Washington nei confronti del nuovo governo di transizione del Sudan stava alienando i sostenitori di una vera riforma democratica. Sebbene gli Stati Uniti abbiano tolto il Sudan dalla lista degli sponsor statali del terrorismo e abbiano sostenuto l’alleviamento di alcuni dei debiti del governo sudanese, sono stati lenti a fornire un sostegno finanziario che avrebbe potuto rendere meno dolorose le riforme strutturali tanto necessarie per il popolo sudanese.
Piuttosto che capitalizzare lo slancio in Sudan per la riforma e la democratizzazione, Washington sembrava stranamente disimpegnata dal paese durante gran parte della transizione, trascurando persino di nominare un ambasciatore degli Stati Uniti in Sudan fino al 2022. Il colpo di stato di ottobre è stato totalmente da ricercare all’interno del Sudan o al massimo di interessi convergenti nella regione da parte del Cremlino ma sicuramente non è da imputare alla volontà statunitense.
La rimozione di Bashir ha eliminato un potere irritante per gli Stati Uniti, permettendo a coloro che lo hanno sostituito di apparire ingannevolmente appetibile. Alcuni membri del governo di transizione erano famigeramente sgradevoli, in particolare il leader paramilitare Mohamed Hamdan Dagalo, che è stato responsabile di alcune delle peggiori atrocità in Darfur e del massacro di manifestanti civili disarmati nel 2019, ma altri, come Burhan, erano meno noti e sembravano promettere stabilità in una regione turbolenta. Come avevano fatto nell’era Bashir, i funzionari statunitensi potevano scegliere tra i funzionari sudanesi per trovare interlocutori accettabili.
Prospettive future per il Sudan?
Indipendentemente dai nomi o dalle figure che appariranno all’orizzonte, questo sistema non si smantellerà mai, motivo per cui spingere per un ritorno alla farsa di un governo di transizione basato sulla precedente formula di condivisione del potere (civili-militari) è una ricetta per il fallimento. Nessun individuo virtuoso o combinazione di individui coinvolti in una tale farsa può ripristinare la fiducia del popolo sudanese o costringere i militari ad abbracciare improvvisamente la riforma. Spingere le persone di integrità in un quadro screditato non fa che diminuire, lasciando invariato il vecchio sistema e seminando cinismo tra i sostenitori della democrazia.
Come era vero nell’era Bashir, gli Stati Uniti non hanno un’influenza sufficiente per cambiare da soli la traiettoria politica del Sudan. Per limitare efficacemente i militari, Washington dovrebbe anche garantire che la Cina o gli Stati del Golfo non vengano in suo aiuto. Ciò, a sua volta, richiederebbe una forte leadership e impegno da parte del vertice del governo degli Stati Uniti, una vera convinzione nella possibilità di successo e la volontà di accettare compromessi con altre questioni importanti. In assenza di una visione chiara per le relazioni degli Stati Uniti con un Sudan fondamentalmente diverso, non solo un leader sudanese diverso, sarà difficile per l’amministrazione Biden raccogliere questo tipo di leadership e impegno, nonostante decenni di sforzi degli Stati Uniti per riformare il paese.