
Caos Somalia: l’esperimento geopolitico USA
Biden non ritirerà le forze USA dalla Somalia ma ridistribuirà le forze per le operazioni speciali, invertendo di fatto la strategia di Donald Trump. Questa potrebbe essere vista come l’ultima mossa di una lunga storia di azioni distruttive perpetrate da numerosi stati occidentali, tra cui i maggiori sono Stati Uniti e Regno Unito nel Corno d’Africa.
Il 16 maggio 2022 l’amministrazione del presidente Joseph Biden, ha annunciato una ridistribuzione delle forze speciali statunitensi in Somalia, tale decisione “sosterrebbe la lotta contro il gruppo militante al-Shabaab”. L’intervento però coincide anche con la rielezione dell’ex presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud, che ha governato il Paese tra il 2012 e il 2017.
Ma è davvero reale l’obbiettivo annunciato? Washington vuole davvero semplicemente sconfiggere al-Shabaab? Al-Shabaab è effettivamente legato ad al-Qaeda e, in caso affermativo, in che misura?
Analizzando la vicenda nel dettaglio sembrerebbe che il reale motivo del rinato interesse per la Somalia non avrebbe il perseguimento di fini antiterroristici, ma anzi, utilizzerebbe questo pretesto per interferire nella politica del paese strategicamente significativo nella regione.
Prima però di pensare che Biden sia l’unico che abbia optato per una politica aggressiva, vale la pena ricordare che anche nell’era Trump, l’interesse è stato quello di mantenere il Corno d’Africa destabilizzato. I sostenitori di Trump più volte hanno difeso il loro presidente dicendo che aveva posto fine alle “guerre perenni” americane in giro nel globo, mentre in realtà, sotto la sua amministrazione, si uccidevano cittadini somali (tramite operatori da remoto con droni) in numero maggiore rispetto a quanti ne morirono con l’amministrazione Obama. È esatto dire che Trump ha ritirato le forze di terra statunitensi dalla Somalia, ma è altrettanto corretto asserire che questa è stata forse più una trovata da pubbliche relazioni in stile America First, che un vero obbiettivo di svincolarsi militarmente dalla regione.
Dall’altro lato abbiamo l’establishment pro-guerra, neoliberista e anti-Trump, che ha cercato di protrarre quanto più possibile il ritiro delle truppe di terra da parte di Trump, visto questo come un segno di debolezza americana di fronte ai terroristi “islamici” globalizzati di al-Shaabab. Demonizzando Trump e riportando in modo impreciso i motivi del suo ritiro, il NYT, la BBC e numerose altre testate giornalistiche statunitensi di portata internazionale, stavano essenzialmente chiedendo a gran voce un militarismo sfrenato USA in Somalia, riducendo il tutto a un “Trump cattivo, militarismo buono”.
La vera agenda: “acquisire e mantenere la capacità di rispondere a qualsiasi emergenza militare che potrebbe minacciare gli interessi degli Stati Uniti”. Tutto inizia dal 1997
Nel 1997, il Comando Spaziale degli Stati Uniti (che è ancora operativo, anche se i suoi compiti sono in gran parte secondi alla Space Force) ha impegnato il Pentagono a raggiungere il “dominio a spettro completo” di terra, mare, aria e spazio entro il 2020, “per proteggere gli interessi e gli investimenti degli Stati Uniti”; il che significa interessi aziendali di potenti lobby private legate indissolubilmente alla politica estera USA.
Da allora, numerose nazioni ricche di petrolio e strategicamente importanti sono state occupate dagli Stati Uniti e dai suoi alleati. Vari dipartimenti del Pentagono, tra cui il Comando Centrale e il Comando Africa, dividono il mondo in Aree di Responsabilità autoproclamate, in base alla regione data e/o alla rilevanza strategica della nazione che il Pentagono ritenga essere più consona; tale modo di strutturare e gestire la politica estera di intervento segue perfettamente il modello coloniale britannico.
Negli anni ’50, infatti, l’Ufficio coloniale britannico descrisse Aden, il Golfo tra Yemen e Somalia, come “una base importante”, da cui le forze potevano rapidamente schierarsi verso il Medio Oriente, quadrante ricco di energia. A quei tempi, la cosiddetta Scramble for Africa (iniziata alla fine del XIX secolo) era giustificata sotto la dottrina del “fardello dell’uomo bianco”: la missione di civilizzare le razze nere arretrate, mentre le loro terre e risorse venivano saccheggiate. Oggi invece i fini geopolitici appaiono più cinici e perseguono la volontà di garantirsi spazi geostrategici e risorse energetiche.
Così la Somalia ottenne l’indipendenza nel 1960, prima di essere governata dall’ex dittatore sostenuto dagli USA, Siad Barre, che governò dal 1969 al 1991. All’epoca, il sostegno degli Stati Uniti a Siad, compresa la sua uccisione di decine di migliaia di rivali politici, era giustificata come parte della politica americana nel grande contesto della Guerra Fredda, ma a guerra fredda finita con Siad ormai deposto, occorreva una nuova strategia e così le successive amministrazioni statunitensi hanno testato nuove dottrine “interventiste”.
La prima ideologia post-Guerra Fredda fu quella dell’intervento umanitario che si concretizza con l’operazione Restore Hope è stata lanciata nel 1992 dall’uscente George H.W. Bush. L’amministrazione di quest’ultimo presumibilmente avrà pure fornito aiuti umanitari durante la carestia innescata dalla guerra civile; ma un documento di Fort Leavenworth rivela un’agenda nascosta: “Durante il nostro coinvolgimento con la Somalia, il nostro obiettivo strategico principale era semplicemente quello di acquisire e mantenere la capacità di rispondere a qualsiasi contingenza militare che potesse minacciare gli interessi degli Stati Uniti in Medio Oriente, Nord-Est Africa e nell’area del Mar Rosso”.
Gli Stati Uniti e il Regno Unito fanno una guerra per procura all’ICU, si infiltrano nel movimento con estremisti di Al Qaeda
Sotto l’ombrello di partiti politici islamici, noti come Unione delle Corti Islamiche (ICU), la maggior parte dei quali non estremisti, la Somalia ha goduto di un breve periodo di pace, stabilità e un aumento del tenore di vita. Filiali delle Nazioni Unite, Amnesty International e il think-tank britannico di politica estera Chatham House hanno riconosciuto che la gestione dell’ICU della Somalia aveva impedito il proliferare “pirateria”, ha fornito istruzione a un gran numero di bambini e ridotto la malnutrizione.
Gli attacchi dell’11 settembre 2001 però hanno fornito all’amministrazione George W. Bush una scusa per sanzionare le banche somale, accusate di finanziare il terrorismo islamico, anche se poi, successivamente, la Commissione sull’11 settembre ha esonerato le banche del paese da qualsiasi coinvolgimento.
Nonostante questo dato rilevante però, le amministrazioni USA post 2001 hanno continuato a sostenere che in Somalia vi fosse uno dei nuclei più articolati e meglio organizzati che al-Qaeda avesse nel mondo; motivo per cui sia il Joint Special Operations Command e la CIA hanno operato segretamente nel Corno d’Africa per almeno un decennio dagli attacchi dell’11 settembre.
Non avendo raggiunto sul territorio i risultati sperati, gli Stati Uniti con il sostegno della Gran Bretagna, hanno cercato un’alternativa che agisse sul campo e alla luce del sole, così cercarono di creare un governo di opposizione composto da figure di dubbia moralità che vivevano in esilio, composto in gran parte anche da signori della guerra etiopi. Tale strategia era perseguita affinché avvenisse una destabilizzazione politica della Somalia, che sotto quei partiti islamici moderati – l’Unione delle Corti Islamiche (ICU)- stava ritrovando la strada per la stabilità interna sia politica che sociale.
Fallendo la destabilizzazione interna, probabilmente si passa ad una guerra per procura e nel dicembre 2006, l’Etiopia invade la Somalia. Centinaia di migliaia di somali sono fuggiti nei vicini campi profughi kenioti ed etiopi, mentre altri hanno fatto il pericoloso viaggio in barche traballanti verso lo Yemen. Il cosiddetto governo federale di transizione era composto da ex assassini e torturatori che sono stati al soldo di Siad Barre con case e cittadinanza nel Regno Unito. La guerra ha invertito le conquiste sociali dell’ICU causando migliaia di morti di fame create dalle carestie indotte dalla guerra.
Proprio in questi anni nasce il gruppo terroristico al-Shabaab; siamo nel 2007, e quest’ultimo si è principalmente rivolto alla violenza per combattere contro gli aggressori etiopi e i collaboratori somali. Le agenzie di intelligence straniere hanno colto la possibilità di infiltrarsi in al-Shabaab per trasformare una milizia nazionalista in un gruppo estremista il quale, se debitamente finanziato, sarebbe riuscito ad operare sul territorio con maggiore efficacia rispetto ai propri elementi.
Del resto non si è nuovi a questo tipo di strategia, è risaputo da tutto che le forze armate britanniche e americane hanno contribuito ad alimentare l’ascesa di quell’organizzazione terroristica, in seguito conosciuta come “al-Qaeda” , per combattere i sovietici nell’Afghanistan degli anni ’80. Non a caso, perchè le coincidenza in politica estera non esistono, una delle tante cellule terroristiche con sede in Afghanistan all’epoca dell’invasione sovietica, era un gruppo somalo chiamato Al-Itihaad al-Islamiya, il cui leader Ahmed Abdi Godane vent’anni dopo ha preso le redini di al-Shabaab a seguito del crollo dell’ICU.
Arriviamo al 2010 e il presidente degli Stati Uniti Obama, firma l’ordine esecutivo 13536, descrivendo la Somalia – un paese che dista 8.000 miglia da Washington e con un PIL inferiore a 5 miliardi di dollari – come una “straordinaria minaccia alla sicurezza nazionale e alla politica estera degli Stati Uniti”. Proprio in quell’anno, l’al-Shabaab ormai radicalizzato in Somalia lanciò alcuni attacchi al di fuori dei propri confini, in Uganda e in seguito in Kenya, spingendo i governi regionali ad unirsi agli Stati Uniti nelle operazioni di “antiterrorismo”. Un anno dopo, sono iniziati attacchi di droni contro “al-Shabaab” in territorio Somalo e nel 2011, il gruppo avrebbe giurato fedeltà ad “al-Qaeda.
Cosa è la guerra al terrore?
Non si può dire che la “guerra al terrore” sia fallita (a distanza di 20 anni i gruppi terroristici operano ancora), perché non è stata progettata per combattere il terrorismo. È nata per produrre un ciclo infinito di uccisioni tit-for-tat e per creare gruppi estremisti dove prima non esistevano. L’antiterrorismo permanente è una sottile cortina fumogena per giustificare il “dominio a spettro completo” al pubblico americano votante e contribuenti la cui borsa viene saccheggiata per finanziare queste guerre.
Come vediamo dalla storia recente, le giustificazioni professate per la sanguinosa interferenza degli Stati Uniti nella Somalia impoverita si spostano in base al clima politico: contrastare i sovietici fino al crollo dell’URSS nel 1991, prevenire la carestia con il pretesto dell’intervento umanitario degli anni ’90, fermare i “pirati” mentre le navi europee saccheggiano gli stock ittici del paese affamato e, negli ultimi due decenni, combattere orde infinite di terroristi post 11 settembre; molti dei quali hanno legami personali con il Regno Unito.
Anche se cambiano le ragioni la geografia del potere rimane la stessa. Gli interessi strategici sono le vere motivazioni della guerra e di ogni guerra. La gente comune, come sempre, ne paga il prezzo.