
Il mondo ha bisogno di un nuovo motore economico. Potrebbe essere l’India?
La guerra in Ucraina ha inferto un duro colpo alle prospettive di crescita globale. La nuova ondata pandemica e il conseguente lockdown hanno indebolito e rallentato di molto la Cina, motore della crescita economica mondiale. Date le sue dimensioni e il suo potenziale, sembra ragionevole chiedersi se l’India potrebbe essere il prossimo motore economico del mondo. Ad aprile il FMI (Fondo Monetario Internazionale) ha stimato che il PIL indiano potrebbe crescere di oltre l’8% quest’anno, la percentuale più elevata tra i Paesi più industrializzati. Un’espansione così rapida, se sostenuta, avrebbe un profondo impatto sul mondo.
Ma è realmente possibile, data la complessa e mutevole struttura dell’economia globale, essere per l’India un possibile sostituto della Cina?
Negli anni 2000 la Cina rappresentava quasi un terzo della crescita globale, più degli USA e dell’Unione Europea messe insieme, aggiungendo nuova capacità produttiva, ogni anno, equivalente all’attuale produzione dell’intera Austria. Nel 2010 il contributo della Cina era quasi raddoppiato, tanto che ogni anno di espansione valeva una Svizzera in più. Dall’inizio del millennio alla vigilia della pandemia, la Cina è diventata il più grande consumatore della maggior parte delle principali materie prime del mondo e la sua quota delle esportazioni globali di beni è aumentata dal 4% al 13%.
L’India potrebbe replicare tali imprese?
L’India è la sesta economia più grande del mondo proprio come lo era la Cina nel 2000 e il livello di produzione oggi è sostanzialmente uguale a quello della Cina di due decenni fa. La Cina ha continuato a gestire un tasso di crescita medio annuo di circa il 9%. L’India è cresciuta di poco meno del 7% all’anno nello stesso periodo. Avrebbe potuto facilmente fare di meglio, tuttavia, se non fosse stato per errori politici – come la decisione scioccante del primo ministro Modi di ritirare alcune banconote nel 2016 – e vulnerabilità macroeconomiche, compreso un settore finanziario sovraesposto. Il governo potrebbe aver imparato dal primo; sia i responsabili politici che le banche hanno lavorato per affrontare il secondo.
Nonostante però qualche similitudine l’India però non è la Cina.
Uno sguardo più attento, tuttavia, suggerisce che l’India non è un sostituto della Cina. Un problema è che l’economia mondiale è molto più estesa ed interconnessa di 20 anni fa, tanto che un dato aumento del PIL indiano non influisce sulla crescita globale. Infatti, una crescita annuale sostenuta del 9% migliorerebbe notevolmente la vita degli indiani ma non significa però che l’economia mondiale girerebbe intorno all’India, come è successo con la Cina negli ultimi due decenni. Il contributo dell’India alla crescita globale attualmente rimarrebbe inferiore a quello di America ed Europa messe insieme.
Forse ancora più importante, le condizioni economiche globali potrebbero essere considerevolmente più proibitive di quelle che hanno consentito l’ascesa della Cina. Dal 1995 al 2008, il valore del commercio mondiale è passato dal 17% del PIL mondiale al 25%. La quota delle esportazioni di beni che partecipano alle catene del valore globali è passata da circa il 44% delle esportazioni mondiali al 52%. La Cina era in prima linea in entrambe le tendenze. Era il paese commerciale più importante dai tempi della Gran Bretagna imperiale, secondo un’analisi dell'”iperglobalizzazione” pubblicata nel 2013 da Arvind Subramanian della Brown University e Martin Kessler dell’OCSE.
L’India, al contrario, è un minnow commerciale. Alla vigilia della pandemia rappresentava meno del 2% delle esportazioni globali di merci. Spera di aumentare quella quota investendo in infrastrutture, fornendo sussidi pubblici ai produttori e negoziando accordi commerciali con un entusiasmo insolito. Ma i tempi sono cambiati. Il commercio mondiale è diminuito in percentuale del PIL globale dall’inizio degli anni 2010. L’India potrebbe comunque sperare di aumentare le sue esportazioni catturando quote di mercato da altre economie, inclusa la Cina. Ma le imprese e i governi che una volta erano disposti a fare molto affidamento sulla Cina in nome dell’efficienza sono diventati più cauti. La loro riluttanza a diventare troppo dipendenti da una qualsiasi fonte di approvvigionamento potrebbe mettere a tacere le ambizioni dell’India.
Dominare le catene di approvvigionamento globali potrebbe non essere l’unica via per l’influenza economica. L’India è un precoce esportatore di servizi tecnologici e aziendali; nonostante questo il suo PIL è solo un sesto di quello cinese, le sue esportazioni di servizi sono solo di poco inferiori a quelle di quest’ultima. Una ricerca pubblicata nel 2020 da Richard Baldwin del Graduate Institute di Ginevra e Rikard Forslid dell’Università di Stoccolma sostiene che il cambiamento tecnologico sta ampliando la gamma di servizi esportabili e offre maggiori opportunità ai lavoratori nei paesi poveri di competere con i lavoratori dei servizi nel mondo ricco.
Ma mentre i servizi tecnologici e aziendali possono continuare a prosperare in India, la loro espansione potrebbe essere limitata da un sistema di istruzione inadeguato, che funziona bene in termini di iscrizione ma non di risultati dell’apprendimento, e dalla natura protetta dei settori dei servizi del mondo ricco, che potrebbero essere meglio isolati contro la concorrenza straniera di quanto lo fossero i lavoratori dell’industria contro le importazioni cinesi.
Anche se l’India gestisce un tasso di crescita annuo vicino al 6% rispetto al 9% che era stato preventivato prima della guerra in Ucraina, questo rende l’India la terza economia più grande del mondo entro la metà degli anni ’30, a quel punto contribuirebbe al PIL globale ogni anno più di Gran Bretagna, Germania e Giappone messi insieme. La domanda indiana di risorse determinerebbe quindi i prezzi delle materie prime; i suoi mercati dei capitali stuzzicherebbero gli investitori stranieri. Una vasta popolazione di lingua inglese e un sistema politico democratico, se l’India riuscirà a mantenerlo, potrebbero consentire alle esportazioni tecnologiche e culturali indiane di esercitare un’influenza globale maggiore di quella cinese a livelli di reddito simili.
Ma il mondo a quel punto avrà riconosciuto, se non l’ha già fatto, che l’ascesa della Cina è stato un evento unico. La crescita indiana cambierà il mondo. Ma non dovresti né sperare, né temere, una ripresa dell’esperienza cinese.