
Il colonialismo energetico dell’Europa in Africa
Dallo scoppio della guerra in Ucraina, le nazioni europee hanno rallentando il processo di transizione ecologica, ritornando a puntare in maniera significativa sui combustibili fossili che, ad oggi, continuano a costituire una quota significativa del futuro fabbisogno energetico dell’Europa. Di conseguenza, molti Paesi europei tra cui Italia, Francia e Germania – tra le prime nazioni europee a cercare di porre fine alla dipendenza dal carburante russo – hanno sostenuto progetti di estrazione di combustibili fossili a lungo termine in Senegal, Nigeria e Mozambico.
La Namibia, uno dei paesi più giovani del continente africano ad esempio, stava cercando di sfruttare i depositi offshore che potrebbero fornire al governo namibiano circa 3,5 miliardi di dollari all’anno in royalties e tasse.
Va ricordato che questa ricerca di nuovi mercati da parte delle nazioni europee potrebbe trasformarsi in un neo- colonialismo, o colonialismo energetico; i dati parlano chiaro, il 43% degli 1,4 miliardi degli abitanti che vivono in Africa non hanno ancora accesso all’elettricità. Percentuale che si stima crescerà nel breve periodo, infatti, come risultato dell’aumento dei prezzi dell’energia, il numero di persone senza accesso all’energia in tutta l’Africa è destinato ad aumentare per la prima volta da decenni, minacciando di erodere tutti i guadagni ottenuti. Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, nel 2030 circa 1 miliardo di africani, se le cose non dovessero cambiare, dipenderà ancora da combustibili sporchi, come la legna da ardere, per cucinare. emissioni di carbonio.