Caso Ungheria, l’inizio della fine dell’Unione Europea

Gli applausi scroscianti del Parlamento Europeo con cui è stata accolta la procedura disciplinare contro l’Ungheria, in virtù dell’art. 7 del Trattato dell’Unione Europea, sono stati la melodia perfetta della fine della stessa Unione; sembravano ricordare il rintocco di una campana che suona a morto.
Perché mentre il 12 settembre (data da richiamare alla memoria ) tra i banchi del parlamento europeo si esultava, lasciandosi abbandonare addirittura a scene di commozione, vedasi l’euro parlamentare Judith Sargentini ( forse più per aver goduto di 10 minuti di notorietà planetaria che per la insolita decisione in sè) oggi, all’indomani della “storica” votazione delle sanzioni contro un proprio paese membro, le riflessioni (amare) con cui confrontarci sono tante.In secondo luogo la via del dialogo è caduta, l’azione sanzionatoria potrebbe essere condivisa se fosse adottata da un organismo che agisce su scala globale, come quello delle Nazioni Unite, in cui molti stati differenti sia per tradizioni sia per cultura, con molteplici interessi individuali hanno bisogno di un’azione forte per potere essere in grado di rispettare i vincoli di una comunità. Un organismo come l’Unione Europea, formata da Stati che hanno un’identità comune,che si prefigge un percorso condiviso verso un futuro sempre più unitario ed unificato, non dovrebbe agire da dittatore utilizzando metodi coercitivi per potere imporre la propria politica, negando ogni costruttiva dialettica. Agendo così, si rischia di compiere gli stessi errori di che furono fatti dagli Stati Uniti d’America, alla vigilia della Guerra di Secessione

Prima di procedere però, bisogna ricordare che una volta che il Parlamento ha provveduto alla votazione con esito favorevole alle misure sanzionatorie contro un proprio stato membro, queste a loro volta dovranno essere votate all’unanimità dal Consiglio d’Europa. Di tale organo fanno parte, e quindi saranno anche chiamati a votare e di conseguenza ad esprimere il loro veto, anche quei paesi che insieme all’Ungheria fanno parte del gruppo di Visegrad. Neppure poche ore dopo l’esito favorevole del voto del Parlamento Europeo , la Polonia ha già fatto sapere che si opporrà alle possibili sanzioni. Tanto giubilo per niente, o forse no.
Quanto accaduto il 12 settembre 2018 a Bruxelles si potrebbe definire come il canto del Cigno di un’ Unione Europea che per quanto volesse essere unita nella diversità, ha sempre voluto imporre l’omologazione sotto regime e di questo se ne è avuta una prova tangente, ieri.In secondo luogo la via del dialogo è caduta, l’azione sanzionatoria potrebbe essere condivisa se fosse adottata da un organismo che agisce su scala globale, come quello delle Nazioni Unite, in cui molti stati differenti sia per tradizioni sia per cultura, con molteplici interessi individuali hanno bisogno di un’azione forte per potere essere in grado di rispettare i vincoli di una comunità. Un organismo come l’Unione Europea, formata da Stati che hanno un’identità comune,che si prefigge un percorso condiviso verso un futuro sempre più unitario ed unificato, non dovrebbe agire da dittatore utilizzando metodi coercitivi per potere imporre la propria politica, negando ogni costruttiva dialettica. Agendo così, si rischia di compiere gli stessi errori di che furono fatti dagli Stati Uniti d’America, alla vigilia della Guerra di Secessione
Geopoliticamente ma anche da un punto di vista meramente politico la mossa di schierarsi contro un proprio Stato Membro da parte dell’Unione potrebbe determinare la propria fine da qui a poco tempo; difatti l’accusa contro il Presidente Orban nata dal dossier redatto il giungo scorso dall’Eurodeputata Judith Sargentini , dove vi sarebbero riportate una serie di accuse mosse contro il governo ungherese, come l’imbavagliamento dei media indipendenti, il limitato accesso al settore accademico ai nemici del regime , sostituzione dei giudici indipendenti con quelli più vicini al regime, era stata prontamente rispedita al mittente tramite un contro dossier di 100 pagine, redatto dal governo Ungherese, nel quale vi era spiegato che il rapporto del giugno scorso conteneva almeno 41 errori strutturali.
La mano pesante che si è voluta utilizzare nei confronti dell’Ungheria volendo essere da monito, potrebbe rivelarsi un boomerang, visto che oggi più che mai, appare evidente come l’Unione voglia omologare tutti gli stati appartenenti alle proprie scelte. L’Ungheria, ma un qualsiasi altro Stato Membro, un domani potrebbero ritrovarsi nella stessa condizione del Presidente Orban se decidesse di perseverare nel non uniformarsi ad un qualsiasi pensiero imposto.
La strada seguita da Bruxelles rischia di far implodere in breve tempo per almeno due motivi l’Unione.
Innanzitutto andrebbe condannata la tempistica di tale manovra; a 8 mesi dal voto di Maggio per il rinnovo del Parlamento Europeo, utilizzare il pugno di ferro (per quanto poi abbiamo visto essere inutile) contro uno Stato che parla di di nazionalismo e difesa dei propri confini, in un periodo storico particolarmente delicato in cui vi è un forte revisionismo nazionalistico (1 Svedese su 5 alle scorse amministrative ha votato per il partito di estrema destra, il Front Natioanl di Marine Le Pen, pur uscendo sconfitta dalle presidenziali dello scorso anno ha incrementato il suo consenso, e da noi in Italia, La Lega continua a registrare consensi allargandosi pure al Sud) rischia di consegnare il Parlamento Europeo ad una coalizione nazionalista: tra qualche mese profetiche saranno le parole di Orban,
“We Hungarians are ready for the [EP] elections next May, in which the people will finally decide the future of Europe”
“Noi ungheresi, siamo pronti per le elezioni del prossimo maggio, in cui le persone finalmente decideranno sul futuro dell’Europa” .
In secondo luogo la via del dialogo è caduta, l’azione sanzionatoria potrebbe essere condivisa se fosse adottata da un organismo che agisce su scala globale, come quello delle Nazioni Unite, in cui molti stati differenti sia per tradizioni sia per cultura, con molteplici interessi individuali hanno bisogno di un’azione forte per potere essere in grado di rispettare i vincoli di una comunità. Un organismo come l’Unione Europea, formata da Stati che hanno un’identità comune,che si prefigge un percorso condiviso verso un futuro sempre più unitario ed unificato, non dovrebbe agire da dittatore utilizzando metodi coercitivi per potere imporre la propria politica, negando ogni costruttiva dialettica. Agendo così, si rischia di compiere gli stessi errori di che furono fatti dagli Stati Uniti d’America, alla vigilia della Guerra di Secessione
